“Ai tempi dell’Università praticavo atletica e ricoprivo un ruolo fondamentale… ero la miglior riserva della mia squadra! Poiché sapevo fare un po’ di tutto, potevo sostituire gli altri atleti in caso di infortuni, ma non spiccavo in nessuna disciplina specifica. Allo stesso modo, dopo la laurea triennale in ingegneria biomedica, che mi ha permesso di esplorare materie diverse, dalla biologia alla fisica, mi sentivo versatile e ricca di conoscenze trasversali. Nella laurea magistrale, mi sono avventurata nell’ingegneria elettronica, per avere una specializzazione più chiara”.
Con queste parole inizia l’intervista della Professoressa Federica Alberta Villa per la Società Italiana di Elettronica, oggi Professore associato presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano.
Le applicazioni dei rivelatori di singoli fotoni
L’attività di ricerca della Professoressa Villa riguarda principalmente i rivelatori di singoli fotoni, sensori utilizzati in molteplici applicazioni che spaziano dalla microscopia (per studi sul sequenziamento delle proteine o sull’analisi funzionale di determinati tipi cellulari), all’imaging quantistico (tecniche che sfruttano le proprietà dei singoli fotoni e che si basano sulle leggi della fisica quantistica), fino a tecnologie come LiDAR (Light Detection and Ranging), che consente la ricostruzione 3D degli ambienti.
“Attualmente, coordino un gruppo di ricerca che si occupa di microelettronica e della progettazione di sistemi basati su rivelatori di singoli fotoni, con particolare interesse per l’applicazione di queste tecnologie. Una volta sviluppato il circuito integrato associato al rivelatore, ci occupiamo di creare delle camere specializzate, per poi collaborare con biologi, medici e fisici quantistici, esperti nell’applicazione finale”.
In questo ambito di ricerca, la Professoressa Villa ha partecipato al progetto ProID, finanziato dalla Commissione Europea, con l’obiettivo di sequenziare proteine utilizzando la spettroscopia Raman. Questa tecnica prevede che il campione venga illuminato con una luce di una determinata lunghezza d’onda, che porta la molecola in uno stato eccitato, facendo sì che il fotone venga riflesso. Durante la riflessione, il fotone cede o acquisisce una certa quantità di energia, il che provoca una variazione nella lunghezza d’onda del fotone riflesso rispetto a quello incidente. Studiando questa differenza di lunghezza d’onda, è possibile ottenere informazioni dettagliate sulla struttura molecolare della proteina analizzata.
“In questo progetto, la proteina veniva fatta passare attraverso un nanoporo, un minuscolo foro che consente il passaggio di un singolo amminoacido alla volta. Utilizzando i rivelatori di singoli fotoni, eravamo in grado di rivelare i fotoni riflessi da ciascun amminoacido. Analizzando la posizione in cui il fotone arriva sul nostro detector, possiamo determinare la variazione di lunghezza d’onda del fotone, permettendoci così di ricostruire la sequenza di amminoacidi che compone la proteina”.
Un altro progetto su cui la Professoressa Villa sta lavorando è il progetto ADEQUADE, anch’esso finanziato dalla Commissione Europea, basato sulla tecnica del quantum ghost imaging, che sfrutta una coppia di fotoni “entangled” con lunghezze d’onda differenti: una nell’infrarosso, non visibile, e l’altra nel visibile.
“Il fotone nell’infrarosso viene indirizzato verso la scena, permettendo di ricostruire un’immagine senza disturbare le persone presenti, poiché il fotone infrarosso non è visibile. Tuttavia, dal punto di vista tecnologico, è molto complesso sviluppare telecamere in grado di rivelare fotoni nell’infrarosso, in quanto la tecnologia attuale consente solo di sviluppare sensori a singolo pixel. Questo significa che, pur potendo rivelare il fotone che ritorna, non è possibile determinare il punto preciso della scena da cui proviene. La soluzione proposta è utilizzare telecamere nel visibile per rivelare il fotone entangled, ovvero il “gemello” del fotone infrarosso, che viene inviato nella telecamera visibile per completare l’immagine”.
La Professoressa Villa ha spiegato che i due fotoni generati condividono delle proprietà comuni proprio perché sono “intrecciati” (entangled). Pertanto, se il fotone nel visibile arriva in un punto specifico della camera, significa che il suo gemello nell’infrarosso ha interagito con un preciso punto nella scena. Studiando le correlazioni tra i fotoni intrecciati, è possibile ricostruire un’immagine della scena a partire dai fotoni nell’infrarosso, ma utilizzando una camera nel visibile. Queste applicazioni sono principalmente legate al settore della difesa, con Leonardo come azienda partner.
La versatilità dell’ingegnere elettronico
“La figura dell’ingegnere è caratterizzata dalla predisposizione a esplorare nuovi campi per superare le difficoltà. L’ingegnere elettronico, in particolare, ha una continua attitudine alla scoperta e all’apprendimento, che lo accompagna nel suo lavoro di ricerca, sia accademica che aziendale. Ad esempio, la terminologia utilizzata in ambiti diversi può inizialmente costituire una barriera nella comunicazione, ma questo ostacolo viene superato dall’ingegnere elettronico, che si appassiona e si dedica anche a tematiche apparentemente lontane, come lo studio delle proteine che attraversano un nanoporo”.
In futuro, l’ingegnere elettronico si troverà di fronte a numerose sfide che riguardano per esempio l’aspetto tecnologico, con l’obiettivo di rendere l’elettronica sempre più compatta e a basso consumo.
“Parliamo di microelettronica, con l’interrogativo di come ridurre ulteriormente le dimensioni quando si arriverà ai limiti dei singoli atomi, si dovrà pensare a una vera e propria svolta. Un altro aspetto cruciale riguarda l’elettronica compatta e a basso consumo energetico. Nella ricerca, l’attenzione dovrà concentrarsi sulle prestazioni, puntando a sviluppare rivelatori più efficienti, con meno rumore di lettura, per ottimizzare le performance senza compromettere l’affidabilità”.
Consigli per i futuri ingegneri elettronici
La Professoressa Villa conclude l’intervista con una riflessione sul fatto che l’ingegneria elettronica spesso spaventa, ed è proprio uno dei motivi per cui ci sono poche iscrizioni al corso di laurea. Questo timore nasce dalla percezione che si tratti di una disciplina complessa e poco conosciuta, ma, come sottolineato dalla professoressa, è proprio questa sfida che rende l’elettronica affascinante e fondamentale per il progresso tecnologico.
“Mi rivolgo prima di tutto ai giovani che si approcciano a questo corso di laurea. Non bisogna farsi spaventare. È vero che i corsi possono sembrare molto difficili, ma se ci si sente portati, è importante non arrendersi e accettare le difficoltà senza scoraggiarsi. Ai laureati, invece, vorrei dire di non accontentarsi della prima proposta che arriva, ma avere la determinazione di cercare il lavoro per cui si è studiato, quello che realmente soddisfa le proprie aspettative. Spesso i neolaureati accettano la prima offerta per paura di non trovare altro, ma non c’è motivo di temere: la domanda è alta. Inoltre, non bisogna aver paura di cambiare, perché ogni nuova esperienza consente di esplorare ambiti diversi e imparare qualcosa di nuovo”.
Guardando indietro alla sua esperienza, la Professoressa Villa aggiunge che, se inizialmente ha scelto ingegneria biomedica, è anche perché l’elettronica in generale è poco conosciuta. La maggior parte degli studenti che si iscrive a ingegneria proviene da istituti tecnici, solo una piccola parte arriva dal liceo scientifico, ma spesso questi ultimi non hanno mai sentito parlare di elettronica perché non è una materia che si studia al liceo.
“C’è questa barriera del ‘non faccio qualcosa che non conosco’ o anche ‘faccio solo quello in cui sono riuscito bene fino ad adesso (Matematica, Fisica, Letteratura….)’. Inoltre, l’elettronica non è visibile come altre discipline: ad esempio, l’ingegneria informatica è più tangibile, perché possiamo vedere e toccare il computer, anche se non siamo consapevoli che è formato sia da hardware che da software. Quello con cui interagiamo quotidianamente è il software, mentre raramente pensiamo al design della CPU che sta all’interno del computer. In sostanza, l’elettronica è meno evidente nella nostra esperienza quotidiana, e questo contribuisce alla sua scarsa conoscenza tra i giovani”.