“Un ingegnere elettronico, grazie alle sue competenze multidisciplinari, trova ampio impiego nel campo della fusione nucleare, poiché un reattore a fusione sarà una macchina estremamente complessa che integra tecnologie provenienti da diversi ambiti dell’ingegneria”.
In questa intervista per la Società Italiana di Elettronica, la Professoressa Barbara Cannas ha spiegato come anche le competenze degli ingegneri elettronici siano fondamentali nel settore del nucleare, sfatando l’idea che sia un campo riservato esclusivamente a fisici e ingegneri nucleari.
Barbara Cannas è Professore Ordinario presso l’Università di Cagliari, dove ha conseguito la laurea in Ingegneria Elettrica e successivamente il dottorato di ricerca in Ingegneria Elettronica e Informatica. Durante il dottorato, si è specializzata nell’analisi e nel trattamento dei segnali provenienti da sistemi complessi, con particolare applicazione alle macchine per la fusione nucleare.
“Dopo il dottorato, una coincidenza fortunata mi ha aperto le porte alla collaborazione su temi legati alla fusione nucleare. All’epoca, infatti, a Cagliari non esistevano corsi specifici su questo argomento. Ma, il Prof. Sonato, arrivato da Padova per tenere un corso di Elettrotecnica, venne a conoscenza delle attività del nostro gruppo allora coordinato dalla Prof. Fanni sull’intelligenza artificiale e propose di applicare queste tecniche al problema delle disruzioni nei tokamak. La proposta riguardava il JET (Joint European Torus), la più grande macchina europea per gli studi sulla fusione nucleare alla fine degli anni ’90, situata vicino a Oxford.
Questa collaborazione segnò l’inizio della mia carriera nel settore e oggi, con il mio team, operiamo come terza parte di ENEA all’interno di EUROfusion, il consorzio europeo (in cui sono coinvolti gli stati membri dell’Unione Europea, Regno Unito, Svizzera e Norvegia) volto allo sviluppo della fusione nucleare per la produzione di energia”.
L’elettronica in un reattore nucleare
La professoressa Cannas ha spiegato che il funzionamento di un reattore di tipo Tokamak o Stellarator si fonda sui principi dell’elettromagnetismo, in particolare sull’interazione tra i campi magnetici e le particelle cariche del plasma. Il plasma è una materia ionizzata e ad altissime temperature, che può essere contenuta e controllata all’interno del reattore tramite campi elettromagnetici. Gli studi dell’ingegnere elettronico, che spaziano dalla fisica all’elettrotecnica e ai campi elettromagnetici, sono essenziali per comprendere e progettare il funzionamento di una macchina per la fusione.
“Una macchina per la fusione presenta una serie di problematiche multidisciplinari che richiedono strumenti avanzati per essere risolte, che riguardano ad esempio la generazione di intensi campi magnetici, il controllo e l’automazione per monitorare e regolare parametri fondamentali come campo magnetico, temperatura, pressione, densità e forma del plasma. Oppure i sistemi a microonde o radiofrequenza utilizzati per riscaldare il plasma e mantenerlo nelle condizioni necessarie per la fusione, i sistemi di diagnostica per immagini. E ancora le analisi elettromagnetiche per simulare il funzionamento e per la progettazione delle macchine, l’elaborazione dei dati per gestire i database che raccolgono e analizzano i segnali provenienti dai numerosi sensori installati sulla macchina”.
La Professoressa ha aggiunto che negli ultimi anni i corsi di laurea in ingegneria elettronica hanno introdotto discipline legate all’intelligenza artificiale, arricchendo così le competenze dell’ingegnere elettronico per lavorare nel settore della fusione nucleare. In Europa si lavora su macchine di diversa tipologia e questo offre molte opportunità professionali per le figure che andranno a formarsi.
“Il Tokamak è una delle principali macchine impiegate nella ricerca sull’energia da fusione nucleare. Al suo interno viene confinato il plasma, una materia ionizzata a temperature estremamente elevate, simili a quelle necessarie per le reazioni di fusione nucleare che avvengono nelle stelle. Poiché nessun materiale può resistere a tali temperature, è essenziale mantenere il plasma distante dalle pareti della macchina. Essendo una materia ionizzata, il plasma risponde ai campi elettromagnetici e può quindi essere controllato mediante intensi campi magnetici. Tuttavia, durante gli esperimenti, il plasma può perdere improvvisamente il confinamento, dando origine alle cosiddette “disruzioni”. Questi eventi comportano conseguenze significative, tra cui l’interruzione dell’esperimento e danni alla macchina dovuti agli enormi sforzi elettromeccanici che si scaricano sulle pareti”.
Questi fenomeni si verificano già nelle macchine attuali, ma la Professoressa Cannas ha spiegato che saranno ancora più critici in quelle future, come ITER, progettata per produrre energia da fusione su scala maggiore. Con l’aumento delle dimensioni della macchina e dell’energia prodotta, anche i carichi e i rischi associati alle disruzioni cresceranno. La fisica, purtroppo, non ha ancora fornito una spiegazione completa delle cause di questi eventi catastrofici e tutti gli sforzi sono concentrati sulla ricerca di soluzioni efficaci.
“Un primo approccio è quello di utilizzare tutti i dati raccolti in decenni di esperimenti. Parliamo di segnali registrati dalla diagnostica del plasma che mostrano correlazioni con le disruzioni. Attraverso modelli di machine learning, è possibile analizzare questi dati e identificare segnali precursori delle disruzioni. L’obiettivo è sviluppare reti neurali in grado di prevedere tali fenomeni, permettendo di intervenire tempestivamente per spegnere il plasma o spostarlo in una zona di sicurezza, salvaguardando così l’esperimento e la macchina stessa. Questi modelli sono stati sviluppati su macchine come il JET e su altre infrastrutture che partecipano al consorzio EUROfusion. Inoltre, stiamo lavorando su macchine più recenti, come WEST, dove ci occupiamo della costruzione di database. In questo contesto, le competenze degli ingegneri elettronici, in particolare nella gestione e analisi di grandi quantità di dati, si rivelano indispensabili”.
La classificazione delle disruzioni è una delle attività secondarie in cui l’intelligenza artificiale viene utilizzata per identificare fenomeni catastrofici simili, al fine di classificarli e trovare pattern comuni.
“Lo sviluppo di queste tecniche nel campo della fusione è stato rallentato per molti anni da un forte scetticismo nei confronti di questi modelli. Infatti, i fisici e gli ingegneri che lavorano sulle macchine fanno fatica ad affidarsi a un modello per prendere decisioni, come spegnere l’esperimento, sulla base di risposte di un modello che fornisce risposte ma non spiegazioni. Per questo motivo, stiamo concentrando i nostri sforzi sullo sviluppo di tecniche di explainable AI, che ci permettano di interpretare e comprendere meglio i modelli di intelligenza artificiale”.
L’ingegnere elettronico e il futuro della fusione nucleare
“Non è detto che un modello sviluppato per una macchina possa funzionare altrettanto bene su un’altra di tipo diverso. Questa rappresenta una delle sfide principali che gli ingegneri dovranno affrontare nel prossimo futuro. In questi casi, infatti, non sono richieste solo competenze nell’intelligenza artificiale, ma anche un solido background nelle discipline elettromagnetiche e sensoristiche. La sfida consiste, ad esempio, nel riuscire a scalare i parametri del plasma e a comprendere come un determinato modello possa essere adattato e trasferito su una macchina differente”.
La Professoressa Cannas ha infine voluto rivolgere un messaggio ai giovani ingegneri:
“Non è necessario che diventiate esperti in fusione nucleare, perché per questo compito ci sono fisici e ingegneri nucleari. Tuttavia, vi invito a esplorare questo campo durante un dottorato di ricerca, per acquisire competenze trasversali che vi permetteranno di applicarle in contesti diversi, sia nel mondo accademico che in quello industriale. L’esperienza di ricerca offre un’opportunità unica di sviluppare abilità che potranno essere utilizzate in vari settori, ampliando le vostre opportunità professionali”.