“Un ingegnere elettronico deve avere la passione e il desiderio di vedere un progetto completo e funzionante. Deve essere mosso dalla voglia di risolvere problemi e trasformare le idee in realtà. L’esame finale del mio corso consiste proprio nel realizzare un progetto concreto. Spesso gli studenti mi raccontano che, nonostante l’impegno richiesto, non hanno percepito il lavoro come una fatica, ma come una sfida piacevole. Mi dicono: ‘Volevo vederlo finito, e per questo continuavo a lavorarci finché non ha funzionato’”.
È con questo spirito che Paolo Meloni, Professore associato all’Università di Cagliari, ha intrapreso il suo percorso, ed è lo stesso entusiasmo che oggi trasmette ai suoi studenti.
Intervistato dalla Società Italiana di Elettronica, ci ha raccontato delle sue attività di ricerca nell’ambito delle architetture di calcolo e di componenti elettronici che vengono integrati in sistemi all’interno di un unico chip. La sua attività si concentra sui sistemi embedded, cioè quei sistemi di calcolo progettati per svolgere un’applicazione specifica.
“Questi sistemi sono fortemente ottimizzati in termini di consumo energetico, costi e portabilità, proprio in funzione delle esigenze delle applicazioni che devono eseguire. Negli ultimi anni, stiamo lavorando maggiormente su hardware per intelligenza artificiale. Studiamo nuovi processori, acceleratori e sistemi che rendano possibile l’esecuzione di calcoli complessi richiesti dagli algoritmi di AI”.
Il Prof. Meloni ha spiegato che si occupa principalmente di intelligenza artificiale applicata all’edge, quindi l’esecuzione del calcolo direttamente all’interno del sistema embedded che ospita anche il sensore che acquisisce i dati.
“Si tratta di un approccio opposto rispetto a quello più tradizionale e diffuso, in cui i dati vengono raccolti e poi inviati a un cloud remoto per essere elaborati da cluster di supercalcolo. Quest’ultimo modello presenta alcune criticità, come la latenza e la scarsa portabilità, che lo rendono inadatto a certe applicazioni. Nel nostro caso, invece, ci concentriamo su soluzioni ottimizzate in grado di effettuare un primo livello di processamento dei dati direttamente in locale, senza la necessità di comunicare con l’esterno. Questo consente di ridurre i tempi di risposta e migliorare l’efficienza, soprattutto in contesti in cui la tempestività e l’autonomia sono fondamentali”.
La maggior parte dell’attività di ricerca del Prof. Meloni si inserisce all’interno di progetti congiunti, finanziati dalla Comunità Europea. Attualmente è impegnato in due progetti europei che coinvolgono diversi partner industriali.
“Alcune delle aziende con cui collaboriamo partecipano allo sviluppo dell’architettura e dei componenti. Altre, invece, sono aziende utilizzatrici: il loro obiettivo è integrare tecnologie basate sull’intelligenza artificiale nei propri processi per migliorarne l’efficienza. In questi casi, forniamo supporto per l’integrazione dell’AI nei loro prodotti e strumenti, anche se non operano direttamente nel settore dell’elettronica. Ci sono poi aziende focalizzate sullo sviluppo software, che, pur non progettando l’hardware direttamente, hanno la necessità di programmarlo in modo efficiente. Per farlo, devono conoscerne a fondo le caratteristiche e ricevono da parte nostra un supporto tecnico per sfruttarne appieno le potenzialità”.
I due principali progetti a cui il prof. Meloni sta attualmente lavorando si chiamano EdgeAI e H2TRAIN e riguardano, rispettivamente, lo sviluppo di nuove soluzioni per il calcolo at-the-edge, e l’applicazione di tali architetture nei settori dell’healthcare e del monitoraggio dell’attività sportiva.
Di recente, in questo contesto, il team di UNICA si è occupato di testare nuove soluzioni che ricadono nell’ambito dell’hardware neuromorfico:
“Abbiamo sviluppato una piattaforma hardware a cui abbiamo dato il nome di SYNtzulu, che in sardo significa “zanzara”, un nome che riflette la sua natura compatta, leggera e reattiva. SYNtzulu utilizza un’architettura pensata per processare reti neurali spiking, ispirata al funzionamento del cervello umano, e sta offrendo risultati molto promettenti in termini di efficienza e flessibilità. Il dispositivo è stato pensato per diversi tipi di utilizzo. Per esempio, in diversi casi è impiegato a diretto contatto con segnali biologici, per acquisire e interpretare dati fisiologici in tempo reale, da utilizzare appunto in ambito sportivo o sanitario”.
L’ingegnere elettronico e le sfide del futuro
La visione dell’ingegnere elettronico delineata dal Prof. Meloni è quella di una figura sempre più competente ed efficiente, sia nella progettazione che nella programmazione, capace di affrontare le problematiche con un approccio ampio e trasversale nell’utilizzo dei sistemi.
“Non ci si può limitare al proprio ambito di competenza: per ottenere soluzioni realmente ottimizzate, è necessario comprendere a fondo l’interazione tra hardware, software e i livelli intermedi che li connettono. Questo approccio è particolarmente interessante anche per chi è appassionato di tecnologie più inerenti l’informatica. L’elettronico, infatti, oltre a utilizzare strumenti, librerie o applicazioni sviluppate da altri, possiede una conoscenza profonda dei livelli sottostanti. Questo gli consente di creare un legame diretto tra ciò che progetta e i principi fisici che ne regolano il funzionamento, sfruttando una prospettiva unica e completa sul sistema”.
Secondo il prof. Meloni, la possibilità di spostare l’elaborazione dai sistemi centralizzati verso i dispositivi locali non è più solo una tendenza, ma sta rapidamente diventando una necessità.
“L’esplosione dell’intelligenza artificiale, in particolare dell’AI generativa, ha portato a una gestione quasi esclusivamente cloud-based, con un conseguente aumento del carico energetico sui megaserver. Questo modello sta mostrando i suoi limiti in termini di scalabilità e sostenibilità. Distribuire il carico computazionale anche su dispositivi più piccoli, locali e meno energivori rappresenta quindi una strada cruciale per ridurre i costi energetici e rendere l’AI davvero accessibile e sostenibile nel lungo termine. Parallelamente, la ricerca si sta muovendo verso architetture di calcolo radicalmente diverse da quelle tradizionali. Tecnologie emergenti come il calcolo quantistico, neuromorfico o in-memory computing stanno ridefinendo la filosofia stessa dell’elaborazione. Sono ambiti in forte espansione e rappresentano le prossime grandi sfide tecnologiche”.
Come esempio, in riferimento alla propria attività, spiega che, mentre l’intelligenza artificiale utilizzata fino ad oggi si basa prevalentemente su reti neurali tradizionali che estraggono caratteristiche dai dati numerici e processati in modo continuo, un’interessante evoluzione è costituita dalle reti neurali spiking che, invece, processano eventi.
“Questi nuovi paradigmi possono ridurre drasticamente il consumo energetico, rendendoli ideali per applicazioni come i dispositivi indossabili. A differenza delle reti convenzionali, le reti spiking non elaborano dati in forma continua, ma si concentrano su eventi discreti, ovvero su cambiamenti significativi nei dati. Ad esempio, un’unità di elaborazione può attivarsi solo quando un valore supera una certa soglia. In questo modo, il carico computazionale si concentra esclusivamente sugli eventi rilevanti, riducendo notevolmente il numero di operazioni necessarie. Questa logica è ispirata direttamente dalla biologia: nel cervello umano, i neuroni comunicano attraverso impulsi elettrici (spike), che veicolano l’informazione in modo asincrono ed estremamente efficiente. Oggi esistono diverse tecniche, sia a livello algoritmico che hardware, che permettono di sfruttare il paradigma event-based per ottenere maggiore efficienza energetica rispetto ai modelli tradizionali, i quali si basano su una codifica binaria e una computazione continua. L’obiettivo è sviluppare soluzioni che non siano semplicemente migliorative, ma che portino a un cambiamento radicale nel modo in cui concepiamo e utilizziamo il calcolo”.
Il prof. Meloni conclude la sua intervista affermando che non si può diventare un ingegnere versatile senza avere una buona conoscenza dell’elettronica e spetta a chi educa far capire che le cose non sono slegate l’una dall’altra.
“I grossi problemi che la nostra generazione e le successive si trovano a risolvere, come per esempio il cambiamento climatico e la cura di malattie incurabili, si possono risolvere solo comprendendo l’interazione tra i diversi livelli. Noto tra gli studenti la tendenza a preferire gli strumenti tipici dell’informatica, perché si basano su librerie e meccanismi stabili. Può apparire più divertente lavorare sul lato concettuale dell’applicazione, mentre l’elettronico, che si trova di più a scontrarsi con la scarsa predicibilità dello sviluppo di nuovo hardware, deve mettere in campo la passione che ci vuole per sviluppare circuiti. In realtà, così come non è possibile sviluppare hardware buono se non si sa per cosa viene usato e quale software eseguirà, non è possibile scrivere software efficiente senza conoscere i dettagli tecnici del calcolatore che si userà. Capire tutto lo stack, cioè tutte le componenti del sistema, è fondamentale per diventare bravi!”.